PROFILO DI UN FUNGICIDA SERIALE: LO ZOLFO ED IL SUO RUOLO IRRINUNCIABILE NELLA DIFESA ANTIOIDICA E NON SOLO

Lo zolfo tra i prodotti fitosanitari è cer- tamente il più semplice da un mero punto di vista chimico. Si usa infatti nel- la forma di zolfo elementare, vale a dire zolfo non combinato con altri elementi. Eppure, nonostante l’apparente sem- plicità, resta ancora oggi tecnicamente molto efficace per la difesa contro l’oi- dio della vite.


Lo zolfo è un elemento non metallico caratterizzato da colore tipicamente giallo ed inodore, caratteristica quest’ul- tima che invece cambia quando lo zol- fo si combina con l’idrogeno (solfuro d’idrogeno, H2S) o con l’ossigeno (bios- sido di zolfo, SO2), sviluppando odori caratteristici, pungenti e soffocanti. Parlare di zolfo in viticoltura significa comunque parlare di oidio. Non farlo sarebbe un po’ come parlare di Romo- lo senza parlare di Remo. Se Romolo non avesse “efficacemente” annientato Remo non sarebbe diventato un perso- naggio così importante e noi forse non avremmo mai visto il Colosseo. Ma que- sta è un’altra storia.
L’oidio fa la sua comparsa in Europa dapprima in Inghilterra nel 1845, poi
nei vigneti del Nord della Francia, della Svizzera e dell’Italia settentrionale negli anni 1848-49. Si diffuse rapidamente in tutte le regioni viticole europee come uno dei tre flagelli viticoli del 19° secolo insieme con fillossera e peronospora, finché un tale Kyle, un giardiniere ingle- se, nel 1860 circa scoprì l’efficacia dello zolfo contro questa crittogama. Sembra tuttavia che, a causa dei loro forti pre- giudizi contro lo zolfo, i viticoltori ne abbiano ritardato per diversi anni l’uso in pieno campo.
Lo zolfo è ancora in gran parte insosti- tuibile nella difesa antioidica, nonostan- te la vasta disponibilità di alternative tecniche presenti sul mercato dei fito- farmaci da qualche decennio a questa parte.
L’azione anticrittogamica dello zolfo viene esercitata direttamente sul fungo attraverso un complesso meccanismo che porta alla disidratazione del mice- lio e ad una sua veloce morte; questa azione è resa possibile dal fenomeno di sublimazione a cui l’elemento è sot- toposto quando resta a contatto con l’aria e con il calore. Insomma lo zolfo è un “sublime” prodotto fitosanitario il cui
destino finale è l’atmosfera. Per questo il suo impatto ambientale resta molto limitato.
La sua dispersione al suolo, inoltre, non solo non presenta problemi di accumu- lo, ma può essere specificamente utiliz- zata al fine di correggere gli elevati pH dei terreni alcalini, con il conseguente miglioramento della disponibilità dei microelementi che sono di solito diffi- cilmente assorbibili dalle radici in pre- senza di calcare.

 

UN GIALLO CON RISVOLTI “NOIR”: LO ZOLFO NELLA STORIA
Lo zolfo è ampiamente distribuito sulla superficie della terra e si trova spesso in cristalli o in masse amorfe. L’origine etimologica del nome deriva dal latino sulfur traducibile in “pietra che brucia”, ma il termine siciliano surfaru deriva molto probabilmente dall’arabo sufra, che significa giallo.
Tralasciando il suo diffuso ed antichis- simo uso in ambito rituale, prima della sua introduzione nel mercato quale fungicida lo zolfo fu intensamente estratto ed utilizzato per produrre la soda, ovvero il carbonato sodico, indispensabile per lavare i panni e produr- re vetro. Lo sviluppo della produzione della soda a livello industriale iniziò a partire dal 1791 con l’invenzione del metodo Leblanc, che si basa sul trat- tamento del sale comune con l’acido solforico. A questa invenzione ed alla massiccia produzione industriale della soda a livello internazionale si devono le passate fortune dell’attività estrattiva esercitata in Sicilia, una delle aree più ricche al mondo di miniere di zolfo.
A partire dal 1845 la richiesta dello zolfo aumentò anche per l’uso agricolo lega- to alla diffusione dell’oidio in Europa. Di certo il grosso della richiesta mondiale dello zolfo è stato purtroppo a lungo assorbito dall’industria bellica per la produzione della polvere nera o pol- vere da sparo. E qui i toni del giallo sfu- mano decisamente in “noir”. Ma anche questa è un’altra storia.
Fino al 1904 la Sicilia ebbe il monopolio di produzione dello zolfo, contribuen- do a livello mondiale per il 91%. Poi nel 1906 con la scoperta di grossi gia- cimenti di zolfo, in Luisiana e nel Texas, negli Stati Uniti, e la messa a punto di un nuovo metodo di estrazione e fusione
molto efficiente, denominato Frasch, la facilità d’estrazione e il grado di purezza così raggiunti resero lo zolfo americano molto concorrenziale e la Sicilia perse il monopolio da sempre detenuto sullo zolfo facendo scivolare il settore mine- rario siculo in una crisi irreversibile. Oggi, infine, lo zolfo estratto dai com- bustibili fossili rappresenta la maggior parte della produzione mondiale di zol- fo mentre quello estratto dalle miniere è diventato ormai quantitativamente molto meno importante.

LA PAROLA ALLA DIFESA: L’USO DELLO ZOLFO IN AGRICOLTURA
Lo zolfo è il principale e più antico mez- zo di difesa contro gli oidii delle varie colture, ma risulta efficace anche per al- tre malattie fungine quali l’escoriosi del- la vite e numerose patologie dei cereali (septoriosi, fusariosi e ruggine). È inoltre caratterizzato da un’azione collaterale insetticida contro le neanidi degli afidi e dei tisanotteri ed un’azione acaricida contro gli acari eriofidi della vite.
L’azione antioidica dello zolfo compren- de diverse azioni:
• preventiva perché impedisce la germinazione dei conidi;
• curativa perché devitalizza il mice- lio nella fase di incubazione;
• eradicante perché è in grado di devitalizzare il fungo anche ad in- fezione ormai visibile.
L’azione fungitossica dello zolfo è basata sulla sua capacità di penetrare all’inter- no della cellula fungina, grazie alla sua liposolubilità, rompendo la membrana cellulare. Queste lesioni sulla membra- na provocano la morte del fungo per disidratazione.
L’attività dello zolfo è funzione della temperatura, dell’umidità relativa am- bientale e della finezza delle particelle. Infatti, l’azione fungicida dello zolfo av- viene grazie alla sua sublimazione ov- vero al fenomeno fisico che determina il suo passaggio diretto dallo stato soli- do a quello aeriforme; di conseguenza le basse temperature e l’elevata umidità ne riducono l’efficacia.
Per quanto riguarda la finezza delle par- ticelle, al di sotto del diametro di 15 μm lo zolfo è attivo già a 10-12°C, mentre per diametri via via superiori, che negli zolfi ventilati possono raggiungere 150 μm, sono necessarie temperature di attivazione che arrivano fino a 18-20°C. In generale, negli zolfi tecnologicamen- te più evoluti che sono destinati ai trat- tamenti liquidi, il diametro delle parti- celle varia da pochi μm ad un massimo di 10-14 μm. Esiste, tuttavia, un limite minimo relativo al diametro delle parti- celle al di sotto del quale lo zolfo causa danni da fitotossicità su vite. Infatti, le particelle di diametro inferiore a 2 μm risultano così piccole da riuscire a pe- netrare all’interno degli stomi causando così l’ustione dei tessuti parenchimatici fogliari.
Di seguito riportiamo una classificazio- ne sintetica delle tipologie di prodotti a base di zolfo che si trovano in com- mercio:
• polverulento tipo sublimato, otte- nuto dalla distillazione del minera- le grezzo e costituito da particelle comprese tra 5 e 14 μm;
• polverulento ventilato, ottenu- to per macinazione del minerale grezzo e costituito da particelle tra 15e150μm;
• bagnabile comune, ottenuto dagli zolfi ventilati con l’aggiunta di ba- gnanti;
• bagnabile micronizzato, ottenuto per macinazione di zolfi sublimati o ventilati;
• bagnabile colloidale, ottenuto da processi chimici con zolfo allo sta- to di colloide, quindi più fine dei micronizzati. È la tipologia che più frequentemente causa danni da fitotossicità.
Precisiamo che lo zolfo liquido propria- mente detto è solo quello ottenuto per fusione completa alla temperatura di circa 130°C. Essendo naturalmente idrorepellente lo zolfo può essere reso disperdibile in acqua solo adottando co-formulanti idonei allo scopo. Quindi le formulazioni liquide sono propria- mente degli zolfi formulati in pasta flui- da e non zolfi liquidi.


L’ARMA DEL DELITTO OVVERO LA DISTRIBUZIONE NEL VIGNETO
Parlando di prodotti fitosanitari a base di zolfo, siamo nati professionalmente in mezzo alle polveri secche e ai ba- gnabili. Questi ultimi dimostrarono da subito di essere il partner perfetto in abbinamento al rame, consentendo l’adozione di trattamenti liquidi effi- caci contemporaneamente contro la peronospora e contro l’oidio.
Oggi il mercato offre diverse tipologie di formulati, anche molto evoluti, tan- to da farci chiedere se non sia ormai tramontata l’era degli zolfi polveru- lenti e dei più semplici zolfi bagnabili. Con qualche riflessione cercheremo di valutare alcuni aspetti fondamenta- li che limitano o favoriscono questo o quel formulato particolare.
Parlando della tipologia in polvere chiamata zolfo ramato, che è stato la base della difesa tradizionale e biolo- gica per decine di anni e lo è ancora nelle regioni viticole dell’Italia meri- dionale ed insulare, il suo utilizzo do- vrebbe essere limitato solo alle zone caratterizzate da bassa pressione di peronospora e nelle annate non parti- colarmente piovose. Infatti, un classi- co zolfo ramato al 3%, che ha un titolo in rame metallo pari allo 0,45%, quan- do distribuito alla dose media di 25 kg per ettaro apporta circa 113 grammi di rame, una dose insufficiente per pressioni di peronospora medio-elevate.
Al contrario gli zolfi ventilati trovano sempre possibilità applicative per la loro caratteristica capacità di diffonder- si nella vegetazione e per l’impiego di moderne macchine pneumatiche che ottimizzano la loro distribuzione. Inol- tre, i ventilati sono un potente mezzo di difesa dall’oidio, ancora molto efficace e spesso utilizzato anche per risolvere infezioni insediatesi a causa di una non perfetta strategia fitoiatrica o di una scadente gestione della palizzata verde. A proposito degli zolfi ventilati dobbiamo ricordare alcuni aspetti tecnici fondamentali. Le macchine conven- zionali, non pneumatiche, presentano problemi di uniformità distributiva, non solo fra i due lati, ma anche in funzione dell’altezza, poiché tendono a distribu- ire una maggiore quantità di zolfo nel- la parte bassa della palizzata. Anche la distanza della vegetazione dagli eroga- tori influisce sull’uniformità di distribu- zione, soprattutto per la scarsa omoge- neità che intercorre tra la parte interna e quella esterna del filare.
Questi aspetti sono stati spesso analiz- zati e discussi durante le tante giornate fitopatologiche nazionali, e le conclu- sioni a cui sono arrivati vari ricercatori suggeriscono di adottare per i vigneti a controspalliera una dose di zolfo venti- lato ottimale pari a 30 kg/ha ed una di- stribuzione a filari alterni per migliorare l’efficacia del trattamento polverulento. Recenti studi condotti dall’Associazione ASPIZ (www.aspiz.it) hanno inoltre intro- dotto dei consigli pratici che consento- no di ridurre deriva e aumentare la per- sistenza d’azione dello zolfo nel vigneto. Uno dei più semplici consiste nell’elimi- nazione delle “manine” all’impolveratrice convenzionale allo scopo di fare defluire lo zolfo verso il basso e distribuirlo così direttamente sul terreno sotto il fila- re, limitandone le perdite e favorendo una sua più graduale azione antioidica grazie alla sua sublimazione più pro- gressiva. Il conseguente scarso contatto diretto della massa polverulenta con la vegetazione consente di ridurre anche i danni da bruciatura sulle foglie.
Da qualche anno sono apparsi sul mer- cato dei nuovi zolfi in pasta fluida con-
tenenti particolari sostanze adesivanti, prodotti che hanno rivoluzionato le tempistiche dei trattamenti biologici, ma non solo, e che hanno aumentato la resistenza al dilavamento delle mi- scele di contatto adottate nella difesa. L’adozione di questi prodotti consente di considerare ancora attivo un tratta- mento anche dopo piogge di 10 mm o di poco superiori, evitando così la ri- petizione immediata della copertura anticrittogamica che altrimenti sarebbe inevitabile.
Tutti noi dobbiamo ricordarci che lo zol- fo è un prodotto fitosanitario che, oltre ai ruoli giocati nella difesa e nella nutrizio- ne, presenta lati negativi quali l’effetto ir- ritante per l’uomo e l’effetto deprimente sull’entomofauna utile. A questo propo- sito ricordiamo la sua attività negativa sui fitoseidi e le conseguenti ripercus- sioni a favore dello sviluppo delle popo- lazioni di ragnetti fitofagi che spesso ci accompagnano in alcune zone vitate. Sotto questo aspetto l’utilizzo dei nuovi prodotti commerciali formulati in pasta fluida consente di limitare la quantità di zolfo elementare distribuito e le conse-
guenti ripercussioni negative ora citate. Forse con l’utilizzo dei prodotti più evo- luti a base di zolfo i costi della difesa an- tioidica sono aumentati, ma la capacità tecnica raggiunta e le potenzialità dei nuovi formulati è migliorata a tal punto da fare passare in secondo piano questo aspetto, considerato anche lo scarso im- patto finale che tutto sommato si ha sui costi di produzione della bottiglia.


CONCLUSIONI: ASSOLUZIONE CON FORMULA PIENA
Nonostante il suo tradizionale e sinistro accostamento con gli inferi, di cui ne rappresenterebbe l’olezzo di fondo, lo zolfo ha cambiato la sua storia ed il suo appeal nei confronti dell’umanità con- tadina quando ha mostrato tutta la sua capacità di risolvere in modo semplice ed efficace la difesa antioidica.
Da allora il tetro fascino alchemico è sta- to sostituito dal suo pragmatico utilizzo nei vigneti dove ha consentito di con- trollare definitivamente l’oidio, uno dei peggiori flagelli distruttivi per le uve.

 

millevigne coverArticolo a cura di
FABIO BURRONI e MARCO PIERUCCI
STUDIO ASSOCIATO AGRONOMINVIGNA

Estratto da:
Millevigne n. Giugno/2019

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